Durante il viaggio per Milano ci si perde in discorsi su quanto sia importante inseguire i propri sogni, imboccare quella strada che negli anni non mi ha permesso di dedicarmi al 100 per cento a un futuro che immagino diverso. Gli amici, sono così, ti fanno parlare e poi ti dicono la loro, che la maggior parte delle volte risulta essere il discorso che vorresti sentirti dire.
I discorsi su un futuro incerto ma bellissimo ci portano in un attimo a Milano, Alcatraz, Roberto Saviano ci dice la sua come sa fare solo lui.
La camorra è un argomento scomodo e lui tramite i suoi ospiti, la musica, non vuole dimenticare chi é morto ingiustamente sotto i colpi di una piaga da combattere.
La sala è piena, i giovani ne fanno da padrone, non me l’aspettavo, buon segnale.
Saviano e una bravissima Debora Villa aprono la serata, si introduce il nuovo romanzo dello scrittore, “La paranza dei bambini” in cui si narra la storia di dieci ragazzi napoletani, guidati da Nicolas Fiorillo, e della loro ascesa nel mondo della Camorra.
Apre la comica Teresa Mannino, pelle d’oca, ci mette tutta se stessa, interpreta il pezzo, commuovendosi e facendo commuovere. La storia é di Annalisa Durante. Morta a 14 anni, colpevole di essere nata a Napoli. Viene citata Hannah Arendt “In un mondo in cui tutti dicono il falso dire la verità è già agire”, la lotta inizia proprio in questo, raccontare a tutti la veritá, il silenzio è la peggio arma.
Jovanotti, tanto atteso, sa il fatto suo, bravo con le parole ma con la musica, beh é casa sua. Spiega la paranza, tutte le volte che sento questo nome penso a Daniele Silvestri, basta una chitarra, la sua voce, si battono le mani. La frittura di paranza è una frittura di pesce di piccolo taglia diffusa in diverse parti d’Italia; prende il nome da una tipica barca da pesca per lo strascico comunemente impiegata dalle marinerie italiane. Cose molto liguri, scusate lo spiegone.
“La paranza finisce subito, come nasce così muore”, si ferma tutto, la musica è capace di farti capire, é poesia, condanna molto spesso.
Linus e Ligabue, ci mettono la voce e una bravura innata, il primo legge la storia di Michael Petrucciani, nonno di Napoli e francese di nascita, jazzista, tra i più grandi della storia, non in altezza infatti una malattia, l’osteogenosi perfetta, non gli consentiva di crescere più dei 102 cm.
I pianisti hanno qualcosa di speciale, e il pensiero vola subito a Ezio Bosso che al Festival di Sanremo ci ha dato una lezione di vita: Petrucciani fa lo stesso con le sue ossa di cristallo, con le mani poteva cambiare la regole, sono il suo territorio.
A Liga tocca un pezzo difficile, il racconto del boss Cosimo Di Lauro, figlio di Paolo, detto Ciruzzo O’ milionario, il “famoso” clan di Lauro alleatosi con il clan di Secondigliano poi in! guerra con gli scissionisti proprio di quest’ultimi. Viene arrestato e cita una sua famosa frase:”Io voglio morire come muore un vero, uno che comanda veramente. Voglio morire ammazzato.” La difficile Napoli del quartiere Scampia.
Sta per iniziare la seconda parte, ne approfitto per un saluto al rocker di Correggio e una chiavetta a forma di fragola consegnata al boss di Radio Deejay. Non si sa mai.
Sul palco cambio della guardia, ha aperto una comica siciliana, ora tocca alla verve della cabarettista sarda Geppi Cucciari. “Chi ha paura del futuro, non vive il presente”, suona molto banale ma ci ho pensato parecchio a questa frase, quando interrogandomi, guardando l’orizzonte o semplicemente una corsia autostradale mi preoccupo di quello che sarà, non godendo la magia del momento.
Nadia Toffa riesce sempre a rendere semplice un servizio d’inchiesta complicato come la terra dei fuochi, ci mette l’anima, é proprio questa forse la bellezza del fare giornalismo, non quello che ti fa vendere giornali o fare audience.
C’era bisogno anche di un tocco di napoletanitá, uno scugnizzo irriverente come Clementino, uno che viene da quei posti capisce meglio, come ha detto lui; parte il rap, quasi d’obbligo e per un attimo mi sembra di tornare indietro a Piazza Bresca a Sanremo, con la cantata alle 2 di notte in mezzo alla gente.
I ragazzi del Teatro Sanitá a Napoli, a cui verrà devoluto l’incasso della serata, allietano il pubblico con la voglia di pazziá e di raccontare cose di cui ci sarebbe poco da ridere.
Non lo stavo dimenticando, me lo sono tenuto quasi per ultimo, Guido Catalano, personaggio dalla R moscia più che pronunciata, questo ci fa capire perché faccia lo scrittore, ma non se la cava male come oratore. La frase “scrivere in questi anni, mi ha dato la possibilitá di esistere”, mi ha colpito in pieno, nel mio essermi da poco cimentato con questa arte, il sogno di tutti é un po’ anche quello di incidere con le parole, rimanere a qualcuno o anche solo per essere apposto con sé stessi.
In chiusura il Dj Saturnino, si porta via, con la sua musica, la pesantezza leggera delle parole di questi personaggi. Me ne sono andato arrabbiato, sconsolato, per i racconti tristi sentiti ma quella platea mi ha tirato su. I giovani, le facce concentrate, la commozione.
Le mafie le combattiamo. A parole, senza violenza. Anche in un fine novembre milanese.
Le parole che sono pietre

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