Una comicitá senza tempo

Qualche giorno fa, precisamente il 15 aprile, è stato il 50º anniversario della morte del “principe della risata” Antonio De Curtis in arte Totò.

Totò simbolo della napoletanità, maschera per eccellenza a livello se non di più di Pulcinella, è sempre stato criticato nei suoi anni di attività, morì il 15 aprile del 1967 e una frase che mi piace sottolineare che sento molto mia è il fatto che per essere riconosciuti bisogna morire.

Non aveva bisogno a mio avviso questo straordinario personaggio, attore di cinema e di teatro, inventore di un tipo di comicità che non è mai esistita, pungente, ironica, senza parolacce apparte quel “Ci si pulisca il c…” che suona come un urlo di autentica signorilità.

Lo conosciamo anche noi giovani o per lo meno mi metto in prima fila, avvantaggiato in quanto nonno Luciano (di cui saprete vita, morte e miracoli, viste le citazioni in altri pezzi, un guru vitale) napoletano, da bambino mi faceva vedere tutti i suoi film su Rai Tre.

Alcuni li potremo doppiare, penso a “La Banda degli onesti“, storia di questi 3 poveretti che diventano dei falsari dal cuore d’oro e naturalmente “Totò,Peppino e la Malafemmina” film simbolo, la lettera esilarante scritta alla Malafemmina da sudore asciugato copiata poi da Benigni e Troisi in “Non ci resta che piangere”, il siparietto con il vigile in una Piazza Duomo senza nebbia, i litigi con il vicino MezzaCapa, ma una “Capa intera quanto costa?”, la vendita della Fontana di Trevi, “Miseria e Nobiltà” con la pasta mangiata con le mani, simbolo di una Napoli e famiglie in gravi ristrettezze economiche.

Le risate sono sempre assicurate, anche se il film l’hai visto 50 volte, mai un copione, una scaletta, solo improvvisazione, quello che nel momento entrava nella testa dell’artista usciva fuori con un colpo di genio, una battuta che sarebbe entrata poi nella storia della comicità. Croce e delizia dei registi, alcuni proprio per questo motivo non hanno mai voluto lavorare con lui, Pier Paolo Pasolini l’unico che cercò di fargli mantenere un copione, “Uccellacci uccellini”, capolavoro, l’ultimo film di un Totò praticamente reso cieco dai problemi derivati dalle forti luci del set.

Tutti lo definivano un burbero, probabilmente lo era, anche i migliori hanno dei difetti, si discostava dal suo personaggio con  una specie di doppia personalità che mi fa pensare allo stesso discorso utilizzato da Paolo Villaggio con il suo Fantozzi.

Ha raccontato la storia di tutti noi, persone semplici, immedesimate in quel personaggio, macchietta senza tempo che dal rione Sanità è diventato Antonio De Curtis. Siamo uomini, sottomessi a tanti terribili caporali diceva, profondo discorso che ci ha fatto capire, come se non ce ne fosse già stato bisogno, che era uno dei nostri.

Potrei raccontarvi talmente tante cose su di lui che non basterebbe un blog. Solo un’ultima cosa: la comicità ha da sempre 4 lettere: Totò.

 

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