Un inconcepibile dna neroazzurro

Sono andato allo stadio sabato scorso e già il fatto di aver schiodato un tifoso da divano come me è un fatto eccezionale ma solitamente quando la squadra per cui soffro da 27 anni gioca a Genova uno strappo alla regola lo faccio. Sto parlando dell’Inter, l’unica squadra italiana a non essere mai retrocessa, 17 scudetti, il record del Triplete (cioè coppa Italia, campionato e Champions nello stesso anno) e una dose di sfiga e assurdità societarie senza fine.

Vedo una partita terribile, non giocata dagli 11 “calciatori” allenati da Luciano Spalletti, il Genoa squadra che deve salvarsi li ha messi sotto per 90 minuti e non c’entrano le assenze di Perisic e Icardi. I tifosi presenti nella gabbia iniziano a urlare: “Non siete degni” e hanno ragione, detto da uno che ha sempre difeso i colori a spada tratta.

Ma cosa succede a questa società tutti gli anni da dicembre in poi? Inspiegabile. Ma facciamo un passo leggermente indietro.

Era Massimo Moratti, cito quella perchè è la più vicina ai miei ricordi, anni di spendi e spandi folli ma comunque alla presenza di un uomo forte e sempre presente in società. Il problema dal 1995 al 2013 è stato il cannibalismo degli allenatori, cacciati, richiamati, sedotti, abbandonati, persino 4 in un’annata sola. E vittorie? Zero. Quando si andava vicini alla vittoria subentrava la sfortuna, dna classico neroazzurro (5 maggio, semifinali Champions, crolli europei).

I giocatori. Quanti, troppi. Ma soprattutto quelli che non sono riusciti a esplodere sotto la sponda interista e poi diventati campioni altrove. Roberto Carlos, Pirlo, Seedorf, Coutinho, Robbie Keane, Cannavaro, Bergkamp. Per non dimenticare quelli che sono stati presi come salvatori della patria e hanno fallito, penso a Pancev, Rambert, Vampeta, Gresko, Van Der Meyde e Quaresma.

Poi il periodo delle vittorie, delle coppe Italia e gli scudetti post Calciopoli con Mancini ma anche delle liti societarie con un pedinato Vieri, il crollo emotivo del più forte centravanti del momento l’imperatore Adriano, la sfuriata del Mancio davanti ai giornalisti post eliminazione contro il Manchester United.

I due anni di Mourinho furono praticamente perfetti, arrivò il Triplete, unica squadra italiana a riuscirci ma tutto si sfaldò qualche minuto dopo la vittoria di Madrid. Mou firmò seduta stante con il Real, Milito fece dichiarazioni d’addio. A giugno arrivò Benitez, spogliatoio sfaldato e tecnica societaria fallimentare come sempre che non ha saputo sfruttare l’onda lunga della vittoria straordinaria sia a livello di marketing che oneroso.

Poi l’arrivo di 5 diversi allenatori (Leonardo, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni, Mazzarri) non cambiano nulla, l’aria della Pinetina è sempre la stessa, ricca di tensioni che non si placano, anzi, con l’addio del presidentissimo Moratti. Arriva l’indonesiano Thohir, che mi direte cosa c’entra con il calcio? Niente, infatti. Puro aspetto commerciale che non porta a nulla. Anzi, solo debiti. Tra lo stupore di tutti, ecco sbarcare i cinesi (gruppo Suning, presidente Zhang che delega i compiti al figlio ventenne), che i soldi li cacciano dalla finestra e ti aspetti che una squadra da scudetto venga costruita in quattro e quattr’otto. Niente. Non c’è cash ma cosa più importante non esiste un uomo societario che faccia da tramite ai patron che stanno a km di distanza.

Come nelle stagioni di Ranieri, Stramaccioni e soprattutto il Mancini bis il crollo arrivò da dicembre in poi, inspiegabile, cosa si rompe nello spogliatoio in quei mesi, cosa succede? Sembra quasi che anche solo uno spiffero d’aria possa impensierire tutto il gruppo. E lo stesso è successo in questa stagione con il crollo dopo la vittoria ai rigori contro il Pordenone, spartiacque incredibile dell’annata. E persino le parole di due mediocri come De Boer e Kondogbia fanno rumore e destabilizzano l’ambiente.

E’ una società che manca di dna, stile (la Juve purtroppo ahimè insegna), carattere ma che talvolta passata una settimana di odio siamo tutti, noi poveri interisti, pronti a vederli giocare, male, come sempre, contro il Benevento, ultimo.

E fa niente, va bene così noi tifosi neroazzurri siamo fedeli come si deve alla donna che si ama e un pò masochisti. Chiediamo solo una cosa, però. Almeno il ritorno ad amare la Pazza, Orgogliosa Inter.

 

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