Siamo ormai schiavi dei social, da praticamente una decina d’anni, o per meglio dire con una frequenza assidua, quasi come se fosse considerata una patologia, negli ultimi 3.
Con l’arrivo degli smartphone e delle app incluse viviamo a stretto contatto con un mondo reale 2.0 in cui tutto è permesso e si spazia dagli insulti al mondo politico, alle fake news e agli svariati argomenti che ci mettono uno contro l’altro.
Nelle ultime settimane, come non mai sono stati due gli argomenti (tre, considerando la fake news locale) che hanno catalizzato l’opinione pubblica: le richieste dei cittadini post voto, che vista la “vittoria” alle elezioni del Movimento 5 Stelle, hanno richiesto ai cup del paese di ricevere il reddito di cittadinanza e la rabbia per il blocco allo Spotify craccato.
Partiamo dal reddito, punto di forza della campagna elettorale grillina che prevede aiuti economici a cittadini e famiglie italiane considerate sotto la soglia di povertà. Il reddito di cittadinanza spetterebbe a singoli (maggiori di 18 anni, e residenti in Italia) e famiglie, con differenti modalità in base a diversi parametri. Ai circa quattro milioni di italiani che sono considerati «poveri assoluti», cioè senza alcun tipo di reddito, andrebbero 780 euro mensili, ovvero 9.360 euro annui . L’accesso a questo aiuto è vincolato a un progetto di formazione e di aiuto dei centri per l’impiego (che dovrebbero essere riformati) di una ricerca di lavoro, anche di pubblica utilità. Se il lavoro eventualmente trovato viene rifiutato per più di tre volte si perde il diritto al reddito di cittadinanza.
Ma cosa è successo nella mente di diversi italiani? Che poi sono per carità pochi, solo alcuni casi in Puglia e in Sicilia a Palermo, dove è stato appeso un cartello recante l’impossibilità nel fare pratiche sul reddito. Ma tutto ciò si è riversato a macchia d’olio, manco a dirlo su Facebook, dove un’idea diciamo buona che, con tutti i limiti e soprattutto i costi del caso (tanti, forse troppi), è stata osteggiata e derisa. E anche solo un finto modello di richiesta ha creato scompiglio in chi veramente ci credeva, per non parlare della pagina “Aggiornamenti quotidiani sul reddito di cittadinanza” che nel giro di di due settimane ha raggiunto i quasi 62.000 follower, oltre ai like e le condivisioni sul quotidiano “Ancora niente”. Con buona pace dei post sugli 80 euro di Renzi, “mancetta” (come si è detto) finita nel dimenticatoio.
Spotify è un servizio musicale che offre lo streaming on demand di una selezione di brani di varie case discografiche ed etichette indipendenti, cioè in parole spicce potete ascoltarvi qualsiasi artista, genere, crearvi una playlist preferita al costo di 10 euro al mese, con l’attivazione iniziale che vi dà diritto a un mese gratis. Cos’è successo? Che da bravi furbetti, è stata creata l’applicazione craccata che consentiva di non cacciare un euro, parlo al passato perchè qualche giorno fa da Stoccolma se ne sono accorti e hanno bloccato lo scrocconaggio Premium. “Caro utente, abbiamo rilevato un’attività anormale sull’app che stai usando quindi l’abbiamo disabilitata. Non ti preoccupare, il tuo account Spotify è al sicuro” queste le parole dall’alto della dirigenza.
E come farebbe una persona normale braccata, alzerebbe le braccia e ammetterebbe le colpe lasciando perdere o spendendo i miseri dieci euro. Invece no, il web si è scatenato con insulti di tutti i tipi, vendicandosi per lo smacco subito invadendo gli store digitali di Apple e Android con recensioni da una stella e parole più che forti.
Per carità io ne ho usufruito, ascoltandolo in auto con un’amica che l’aveva, mi è stato girato, non l’ho installato per pigrizia ma nel caso lo avrei utilizzato, non mi sarei incazzato e anzi continuo a essere uno di quelli che compra i cd e va ai concerti, cioè prova a far girare l’economia.
L’amico Andrea De Sotgiu nel suo pezzo per Musica 361 (leggi qui http://www.musica361.it/spotify-rivolta-furbetti-della-crack/) diceva: “Il problema è che esiste chi si rifiuta di associare una spesa all’arte. Gli artisti, nonostante investano capitali e mettano a rischio il proprio patrimonio per poter lavorare, devono anche subire la volontà di chi vuol farli lavorare gratuitamente. Non solo, ipotizzando un aumento netto di abbonamenti, non sappiamo con chiarezza quanto percepiranno gli artisti da ogni stream…L’arte è diventata liquida come tutto il mondo dall’arrivo del digitale. Puoi fruire di un quadro del Louvre mentre sei a New York, puoi guardare il tuo live preferito direttamente da casa tua, puoi ascoltare tutta la discografia di un artista in un solo mese. Le modalità sono molteplici, ma il valore resta lo stesso. L’arte deve essere pagata”.
Parole sante, che dette da noi liguri sembrano stonare, ma che fanno sì che per tutti gli ambiti si possa fare questo discorso.
Avevo anticipato che sarebbero stati tre gli argomenti e qua arrivo a quello più strettamente locale ma che tocca un caso che negli ultimi mesi è diventato nazionale: le fake news. Ci siamo da sempre imbattuti in bufale e per fortuna c’è chi ha saputo scherzarci su come “Il Lercio” ma in questo caso si è andati dritti verso un allarmismo generale. Domenica scorsa, allerta meteo sulla Liguria, inizia a girare su Facebook la voce, tramite un post di un utente, del crollo del ponte dell’autostrada a Varazze.
Ora di pranzo e scappo a vedere, perchè oltre ad essere una situazione più che notiziabile, si potrebbe creare un vero e proprio disastro. Arrivo in zona e nulla da segnalare, prendo direttamente l’autostrada e a parte una pozza d’acqua che crea discreta apprensione non noto nessuna seppur minima crepa. Intanto la news inizia a girare ovunque, sulle varie pagine paesane, sulla mail di Facebook del giornale, l’ansia sale nei facebookkari.
Smentiamo con un pezzo la notizia fake, l’utente probabilmente oltre agli insulti, riceverà una denuncia per procurato allarme.
Quindi cosa che consiglio, prima della prontezza delle dita che scrivono o condividono, accertiamoci della veridicità e soprattutto fidiamoci degli organi di stampa che al momento provano ancora a dire la verità.
Giovanni del trio più famoso d’Italia in una celebre battuta diceva: “Lei è ignorante nel senso che ignora”. Non facciamo sì che quell’aggettivo sia definito in un altro modo.
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