Il mare sconosciuto e il treno del terrore

Domenica sono stato in visita all’ex colonia bergamasca tra Celle Ligure e Varazze, Liguria, robe di casa mia, e il Fai (Fondo Ambiente Italiano) associazione che si occupa di preservare le bellezze del nostro Paese,  nello scorso week end ha organizzato queste giornate di Primavera lungo tutto lo stivale, in questo caso dedicato proprio al luogo storico cellese.

Tanti visitatori sono accorsi in questa due giorni e io da semplice reporter per il giornale con il mio microfono e lo stabilizzatore mi sono unito alle comitive per farmi raccontare dai giovani dell’associazione la storia di questo posto abbandonato oramai da circa 25 anni.

Diretta Facebook tra le stanze fatiscenti, camerate che portano indietro alla memoria, che ti fanno immaginare cosa era presente un tempo.

Ma facciamo un passo indietro, una mini storia. Le colonie bergamasche hanno avuto un diverso utilizzo, sono state fondate nel 1889 dall’Ente per la salute del fanciullo di Bergamo con l’obiettivo di “favorire i bambini nel loro sano e integro sviluppo”, infatti fin da subito i bambini erano al centro della struttura in cui oltre alla cura della malattie si insediavano e scoprivano il mare per la prima volta d’estate, successivamente durante la prima Guerra Mondiale fu convertito come ospedale militare (significativo la croce rossa, oramai sbiadita, dipinta sulla facciata di un palazzo quale simbolo di preservazione dai bombardamenti) e infine dopo un periodo di ritorno come colonia dal 1943 al 1945, in uno dei suoi periodi più terribili, divenne venne trasformato in un campo di concentramento.

E proprio da qua voglio partire, come mi è successo a Mauthausen (per carità, duro paragone) ho avuto veramente un brivido lungo la schiena e mi  sono immedesimato in quelle cuccette vuote, nel silenzio delle scale, ho fatto anche un giro da solo, per gli anfratti e ho sentito, come se fosse ancora presente, la paura che girava per quei corridoi.

Mio padre mi ha raccontato che mio nonno (suo papà) nel 1944 ha rischiato di finire su un treno per la Germania  a causa di un rastrellamento dei tedeschi, perchè da lì poi i deportati compivano il lungo viaggio per una morte pressochè certa, fu salvato e fatto scendere dal vagone (il treno passava proprio da lì) dalle sue sorelle che erano andate “a colloquio” con gli ufficiali nazisti.

Capite bene quanto una storia di questo tipo sia shoccante, il campo di Celle accolse prevalentemente operai scioperanti, partigiani e loro collaboratori o presunti tali, senza alcuna distinzione tra uomini, donne, anziani o bambini. Il terrore aveva raggiunto anche un piccolo paesino ligure, che aveva presente al suo interno un mini mondo dal passato felice.

Certo, felice e allegro perchè i bambini in arrivo da Bergamo passavano le loro vacanze, vedevamo il mare per la prima volta e spensierati si godevano l’estate e il parco con i due campi da calcio, certo le suore non saranno state il massimo, ma sicuramente meglio di un kapò nazista. Questo negli anni antecedenti la guerra e poi in quelli immediatamente successivi.

E io negli anni 90 forse prima che tutto venisse abbandonato o immediatamente dopo, non mi ricordo, so di esserci stato, forse in visita quando andavo al campo solare (mi ci portavano la mattina i miei perchè lavoravano tutti i due) e in mezzo alle scale di quel parco ho avuto questa immediata sensazione di dèjà vu, roba che mi succede spesso, forse ho avuto una doppia vita, mi sono lanciato nel vuoto di una scena già vista, infatti sono rimasto indietro a pensare, seduto su un muretto che mi è sembrato familiare.

Tanta, forse troppa storia si è consumata in quel luogo e sono dell’idea che del cemento non potrà spegnere le urla festanti dei bambini e soprattutto il terrore di un atto che per troppi anni è rimasto sopito nel dimenticatoio.

Ma neanche nella mente di chi ha sentito questi tremendi racconti e che ora se tutto fosse andato come quelle bestie volevano, purtroppo per la maggior parte delle vittime è successo, non avrebbe potuto neanche raccontarmelo. E io a voi.

 

 

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