Una ricostruzione mai avvenuta

Ore 3.32 del 6 aprile 2009. L’Aquila si sveglia sotto un inferno di macerie. 309 morti, bambini, anziani, studenti, famiglie, paesi interi, perdono la vita, vengono spazzati via da un terremoto tra i peggiori della storia italiana, il terzo probabilmente dopo quello del Friuli del 1976 e dell’Irpinia del 1980.

Ma non è tempo di classifiche, sono passati dieci anni, una decade infinita, una lunghissima notte mai conclusa sferzata da una scossa di magnitudo 6.3.

Le persone vivono ancora nei prefabbricati, non avranno mai più la loro casa perchè è diventata una continua guerra di appalti, di costruttori. Sì si continua a fare affari sulla ricostruzione, gli appartamenti tirati su con soldi pubblici vengono stravenduti da privati. Ma chi compra in una città semi fantasma? Nessuno.

Pesante da dire ma l’unica opera conclusa è la chiesa di Santa Maria del Suffragio in piazza del Duomo: 6 milioni e mezzo investiti dal governo francese e italiano per la ricostruzione della cupola crollata. Dopo un evento del genere, si può pensare che una persona abbia la fede di rientrare in una chiesa, già crollata e pregare? Secondo me no, ma sono ateo non faccio testo. Però le cronache cittadine parlano di una ventina di fedeli partecipanti ai vespri settimanali, difficile tornare a credere dopo un evento del genere.

Le luci si sono accese, qualcuno, pochi, sono ritornati a pregare. Invece l’ostello della gioventù non esiste più, quella notte è stato spazzato via come i sogni dei giovani studenti. Rimane solo una targa nel quale neanche le candele vengono più cambiate.

Sono stati spesi 17miliardi di euro in 10 anni, 5 in costruzione private e due per le costruzioni pubbliche. Una miseria. La differenza tuona sui 10 milioni investiti per una ricostruzione provvisoria, cioè niente di certo, tappulli come chiamiamo noi in Liguria.

I paesi limitrofi, saliti nei giorni successivi all’onore della cronaca, Paganica, Onna, Castelnuovo e molti altri, praticamente non esistono più. Le macerie sono ancora per strada, tutto è praticamente rimasto centoventi mesi fa.

Crollano i ponti, le città spariscono, i migranti muoiono in mare. E la politica da passerella molto spesso sta a guardare, traguarda il giorno dopo ma non un Italia, una regione, una città, L’Aquila che scompare in un silenzio surreale alle luci del tramonto.

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