“Papà arriva tardi oggi passano i ciclisti, mangiamo”. Mia madre usava sempre questa espressione tutti i primi sabati di primavera quando la classicissima faceva il suo sempre speciale passaggio a Celle.
Papà posizionato sull’Aurelia insieme ai suoi colleghi fermava il traffico per consentire il transito dei corridori nel nostro comune. Attendendo poi il canonico saluto con l’amico Enzo. Ne sono sempre stato affascinato, prima godendomi la gioia del vedere il mio bel paesino in televisione e, soprattutto, quando da più grande ho iniziato ad apprezzare il passaggio direttamente anche io in strada.
Che poi mi direte: “ma che cosa vedi? Che passano ai 60 all’ora!”.
Il ciclismo è, come dicevo ieri per la radio in occasione dell’iniziativa della musica in contemporanea per tutte le stazioni italiane, unione, magia, momento di stare insieme. Con il vicino di passaggio per strada condividiamo il fatto che sta passando nel nostro paesino, che siamo lì per quello. Per vedere chi è il primo in fuga, capire qual è, nel gruppo che sfreccia, il nostro ciclista preferito, immergersi nei colori sempre molto sgargianti delle loro tute.
Il passaggio del giro nella propria città è l’attesa, controllare l’orologio o meglio al giorno d’oggi lo smartphone, per capire quanti minuti mancano al loro arrivo. Le cronotabelle più o meno ci beccano sempre almeno che non ci siano state cadute oppure il tempo sia terribile. Poi ci sono le voci incontrollate: “Sono ad Arenzano”. “No ancora a Voltri”. “Preparati Lu, sono a Varazze”. Un ricordo che ho di mio fratello in una delle volte in cui mi ha accompagnato.
Poi le salite. Il Turchino, la Cipressa, il Poggio. Che magia, chi scollina da solo quella si porta a casa, molto spesso, la vittoria.
Ricordo la penultima vittoria italiana di Pozzato del 2004, 16 anni quanto tempo. Il grillo Bettini, un Cipollini d’altri tempi, madonna come ero gasato a vederlo passare con la sua tutina zebrata. Il periodo degli australiani, gli stranieri che a sorpresa si portavano a casa la classica. Gianni Bugno nel 90, con il mio fratellone che sicuramente non può scordare. Il nostro cellese Gepin Olmo. Due volte negli anni 30. Che storia.
Ieri è iniziata la primavera. Il Coronavirus ci ha tolto quegli occhi lucidi, emozionati, dal veder passare gli sportivi per eccellenza sotto casa nostra.
Ci rifaremo a ottobre. E io sarò lì in prima linea, forse anche dalla macchina partendo da Milano (che sogno) oppure in strada chissà. A bocca aperta, perchè al Covid in autunno gli faremo il dito medio.
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