Prima dello stop forzato per l’emergenza Coronavirus Antonio Conte si arrovellava il cervello su dove un giocatore come Eriksen, pagato 25 milioni, potesse incastrarsi nei suoi meccanismi tattici. E le prime uscite non erano di certo confortanti, ma si sa la Premier non è la Serie A, calcio diverso, meno spazi, difficile per un giocatore “fantasioso” esprimersi ai massimi livelli subito, anche per quello forse avrebbe preferito un giocatore come Vidal.
Quello a febbraio era il problema principale per i neroazzurri e il suo condottiero, oltre ad una normale preoccupazione derivante dai 2 pareggi con Lecce e Cagliari e le sconfitte di misura con la Lazio e con la Juventus che li avevano portati a 6 punti dai bianconeri. La Lazio era in rampa di lancio, la squadra di Sarri è comunque sempre la squadra da battere e una sconfitta, seppur non troppo meritata, ci può stare.
Passano più di tre mesi e ti aspetti quindi una squadra arrembante, perlomeno mai doma, da qui alla fine di un campionato in versione simil Mondiale.
Breve excursus. Ripartono dal recupero con la Samp e vincono a fatica contro una squadra in netta difficoltà, arriva il Sassuolo, match in gestione, sempre in vantaggio, errore di Gagliardini e 3-3. A Parma gli uomini di D’Aversa con le accelerazioni di Gervinho fanno male, ma con un po’ di fortuna De Vrij e Bastoni la riacciuffano. Schiantato il Brescia, con il Bologna è il crollo verticale dopo il vantaggio di Lukaku e per ultima al Bentegodi il Verona fa la partita e con una match tutto grinta si porta a casa il 2-2.
In tutte queste partite viene imputata a Conte una sbagliata gestione della partita oltre ad errori grossolani nei cambi e, nell’occasione del rigore sbagliato a Bologna da un Lautaro, svogliato, nervoso e con la testa al Barcellona, il fatto di doversi imporre per far calciare il rigorista della squadra Lukaku.
Cosa ha dato l’ex allenatore della Juve a questa Inter? Poco, se non niente. Della sua innegabile qualità nel rendere fenomeni giocatori mediocri non si è vista traccia, il solo Candreva si è rilanciato dopo anni difficili. Dalla sua solo il fatto che in sede di mercato i calciatori cercati sono propensi ad accettare per la sua presenza, mica poco per carità
Certo, come ripetuto a più riprese, gente come Barella, Sensi, Gagliardini, Bastoni, giocavano in piazze diverse con obiettivi diversi e non si poteva pretendere di più, però a cospetto di squadre che in teoria sono di fascia media bisognava attendersi ben altre prestazioni.
7 punti buttati via che in questo Ciapa no dove la Juve perde con il Milan e pareggia con l’Atalanta e la Lazio si è completamente buttata via, l’Inter nonostante abbia perso gli scontri diretti poteva ancora dire la sua.
Lui non voleva più vedere la pazza Inter (infatti pure l’inno è stato tolto), gli si chiedeva di renderla meno discontinua, più guerriera, cinica, ma niente di tutto questo si è avverato.
E’ diventata l’Inter del “non riusciamo a chiuderla, abbiamo paura di vincerla”, quando invece il motto dei neroazzurri, il dna è sempre stato quello di essere folle, di poter andare sotto e prima o poi riuscire a sistemare, tra i classici millemila problemi di spogliatoio, societari, vari ed eventuali. Questa Inter invece va sopra e poi svanisce nel nulla.
In tutte le partite, Conte toglie i due esterni e due cambi se ne vanno via così, poi spazio alla staffetta Lautaro-Sanchez (il più in forma del momento), toglie un centrocampista per un altro e il ragazzino Esposito invece è relegato in un dimenticatoio inspiegabile.
La sensazione è che Conte abbia mollato fin troppo presto gli ormeggi, non ha più voglia di Inter. E’ veramente dimezzato come nel romanzo di Calvino e gli è rimasta la parte cattiva, il “Gramo”, quella più gobba. E’ infatti abituato bene probabilmente, il neroazzurro è un’altra storia. E se non si sa rispettare e onorare quella maglia meglio che le strade si dividano e che arrivi qualcuno che quei colori li sa veramente apprezzare.
Magari, chi lo sa, il Cholo Simeone.
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