A due settimane dal voto sarò sincero ma sul referendum sono ancora particolarmente dubbioso sul da farsi. Non sono mai stato uno che si sbilancia particolarmente su quale ideologia politica indirizzarsi, soprattutto negli ultimi 3 anni da quando faccio il giornalista, ed è giusto che sia così.
Ma in questo caso, voglio soffermarmi su alcuni aspetti e l’essere schierati in questo caso conta poco o almeno dovrebbe. Taglio dei parlamentari e le ragioni del sì e del no. Il 20 e il 21 settembre 2020 si voterà per un referendum costituzionale sulla riduzione di un terzo del numero dei parlamentari di Camera e Senato. Mi direte: per una volta potrebbe essere una cosa che può mettere d’accordo tutti e invece….
Partiamo dal principio. Si è arrivati al plebiscito per una lotta che da anni vede il Movimento 5 Stelle in prima linea, i quali da sempre vogliono abbattere i costi della politica e un numero di parlamentari che risulta essere troppo alto rispetto a molti altri paesi europei.
Un anno fa in Parlamento tutti i partiti politici avevano votato a favore del taglio per poi smentirsi ora in un turbillon di no, prima smentiti e poi confermati a piena voce.
Si va a modificare con il sì il testo base della democrazia italiana (articoli 56-57-59 della Costituzione) e quindi molti, forse per patriottismo o per continuare ad essere rappresentati con più esponenti possibili del territorio optano per il no al taglio.
Se passa il sì il numero dei deputati passa dagli attuali 630 a 400, quello dei senatori eletti da 315 a 200. Cifre che includono i parlamentari eletti all’estero: con la riforma 8 deputati (oggi sono 12) e 4 senatori (oggi sono sei). Con il no naturalmente rimane tutto uguale.
E i partiti politici come sono schierati? Detto del sì dei pentastellati, gli altri sono divisi praticamente in fazioni, nel Partito Democratico regna l’incertezza anche se in molti sono propensi per il taglio (decisiva la direzione dem di domani, probabilmente Zingaretti chiederà di votare sì solo se ci sarà una nuova legge elettorale che garantisca rappresentatività) così come Fratelli d’Italia (che pende verso il sì) e Forza Italia, dalla Lega anche regna l’incertezza dopo che però ai tempi del governo gialloverde avevano votato sì compatti. Libertà di scelta per Italia Viva. I partiti, diciamo più “piccoli” (non me ne vogliano) invece sono compatti sul no: centristi, + Europa, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Azione di Calenda. In quanto, oltre ad essere secondo loro una decisione incostituzionale, i posti in Parlamento potrebbero così ulteriormente ridursi per partiti politici che già hanno difficoltà a superare la soglia di sbarramento.
La rappresentatività. Questo è il tema base. Esempio proprio terra a terra: se prima in Liguria ad esempio entravano alla Camera 16 parlamentari liguri ora ne entreranno 8, la metà. Con un deputato ad esempio ogni 157mila abitanti. E lo stesso accade, anche in maniera più marcata nelle altre regioni. Anche per questo chi vota no si impunta. I territori finirebbero per essere poco rappresentati. Soprattutto al Senato che è eletto su base regionale e oggi la Costituzione prevede per ogni territorio un numero minimo di seggi: sette senatori per ogni regione (tranne due per il Molise e uno per la Valle d’Aosta). Se vince il sì il numero minimo sarà di 3 senatori per regione o provincia autonoma.
Poi c’è però l’aspetto puramente economico. 315 stipendi verrebbero risparmiati annualmente, facendo un conto della serva, tra paga base/diaria/indennità di carica/rimborsi, circa 53 milioni per la Camera (un deputato guadagna circa 19mila euro al mese, 230mila all’anno) e 29 milioni al Senato (21mila e 250mila). Che poi considerando il netto con le tasse da dare allo Stato scendono intorno ai 37 e 27 milioni.
Insomma non è per niente semplice decidere. Basterebbe solo un Ni (o un ‘So’ fate voi) per salvare capre e cavoli.
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