La settimana scorsa in vista della ripartenza delle scuola ho rivisto con piacere “Io speriamo che me la cavo” e “La Scuola”. Due tra i film che hanno caratterizzato la mia infanzia e che a mio modo di vedere hanno dato tanto al cinema italiano e agli stessi attori protagonisti. Paolo Villaggio in quell’interpretazione, così come lo stesso Silvio Orlando, abituato già però a raccontare contesti simili, ha toccato livelli di drammaticità e allo stesso tempo di romanticomicità veramente importanti. Hanno raccontato due Italie in difficoltà, una alle prese con un meridione purtroppo ancora scanzonato, con la mafia che i bambini li accoglieva a braccia aperte e l’altra invece dove si vede nettamente quanto le scuole in alcuni casi (in quell’occasione la periferia di Roma) siano nettamente dimenticate a loro stesse.
Non che la situazione sia migliorata, anzi. E questa pandemia ha tirato fuori ancora di più le criticità che se in alcuni casi erano nascoste sotto un tappeto, in altre erano proprio alla luce del sole.
Il Coronavirus prima di tutto ha spazzato via l’unica certezza dei nostri giovani: la socialità. Su questo tema in più di un’occasione sono stato parecchio critico in quanto di fronte alla battaglia contro il virus abbiamo dovuto a rinunciare ad una miriade di cose e quella ne ha avuto il sopravvento per forza di cose. E se ritornassi indietro ai tempi del liceo potrei anche pensare di poterne fare a meno, visto che non ne ho ottimi ricordi ed ero in una classe in cui non vale la pena spendere un racconto neanche sul blog. Però non posso fare a meno di pensare ai bei tempi delle elementari e delle medie, nel quale ho trovato amici che mi porto appresso da 25 anni.
Tornando al discorso generale. Non è facile. E me ne rendo conto allenando i bimbi a calcio dai 6 agli 8 anni. Hanno bisogno di sfogarsi, giocare, fare amicizie, cosa che la didattica a distanza e i cellulari/tablet/video giochi ha letteralmente spazzato via. E’ il futuro si dice e in questo periodo storico almeno rimane l’unico modo per garantire l’istruzione.
Alcuni, i più grandi delle scuole superiori, hanno accusato più di un problema e diciamocelo, non ce la fanno più. La dad, il lockdown, hanno acuito in maniera pressante la situazione che era però, come dicevo prima nascosta in un meandro. E’ uscita fuori più forte che mai e non saranno i banchi a rotelle e neanche una pandemia che prima o poi speriamo se ne vada fuori dai coglioni a risolvere la questione.
La classe dirigente deve fare qualcosa, così come gli stessi genitori. Ve ne racconto una: sotto le feste, supermercato. Bambino nella carrozzina, massimo due anni, rincoglionito dal cellulare. Il male.
E poi i nostri giovani dovrebbero avere degli esempi come il maestro Sferini e il professor Vivaldi. Loro sì che 25 anni fa hanno insegnato come si fa. E sapete quanti ce ne sono come loro in giro per l’Italia? Io ne ricordo sempre più che volentieri, il prof Diana. Persona che ti insegnava la vita prima di tutto.
Ripartiamo così. Da persone che valgono, ragazzi che si risvegliano dal torpore e dalle difficoltà e la scuola che ritorna ad avere un significato fondamentale.
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